Marcella Cannariato: “In Italia non siamo tutti uguali” (da CronoPolitica)
Intervista rilasciata da Marcella Cannariato (Fondatrice di Fiori Di Acciaio) a Walter Giannò per CronoPolitica.it (14 marzo 2014)
«Sa cosa mi fa davvero arrabbiare dell’Italia? Se il lavoro femminile fosse incentivato a dovere, il PIL guadagnerebbe sette punti! Invece, viviamo in uno dei paesi più arretrati dell’occidente. Non è vergognoso?».
Si presenta così Marcella Cannariato, imprenditrice, siciliana e agguerrita difenditrice dei diritti delle donne, nonché promotrice dei talenti inespressi a causa di una società ancora troppo legata al predominio maschile, nonostante leggi – o surrogati di leggi – campagne di sensibilizzazione e ministre con il compito di affermare le pari opportunità .
L’abbiamo stuzzicata su vari fronti, seduta sulla scrivania del suo ufficio, la “A&C Brokerâ€, società di brokeraggio assicurativo, con sede a Palermo, dove venticinque dipendenti su trenta sono donne “battagliere e professionaliâ€, come Marcella tiene a precisare, con più che un pizzico d’orgoglio. Ma anche fondatrice di Fiori Di Acciaio, associazione che affronta quotidianamente i temi dell’attualità e delle pari opportunità , soprattutto sui social media.
- Cominciamo con il tema che fa sussultare tutti, figuriamoci gli imprenditori, visti i tempi di magra. La politica. Ha carta bianca…
«Come sparare sulla Croce Rossa. Ma tengo a precisare subito una cosa: io non sono contro la politica ma contro certi politici. E la differenza è notevole. Perché, un conto è prendersela con quel complesso di azioni, regole e strumenti che hanno il compito, sin da quando l’uomo ha deciso di convivere in pace con il suo vicino, di perseguire il bene comune. Un altro conto è avercela e a ragione con chi, anziché occuparsi di ciò che necessita all’intera società , ha preferito concentrarsi sulle proprie tasche e su quelle dei propri adepti. Questo è il nostro guaio: essere governati da una classe politica, a prescindere da che punto di vista guarda il mondo, egoista e antisociale».
- Di fronte a questo scenario sconsolante, c’è una soluzione? Oppure noi italiani non abbiamo alcuna speranza?
«Certo, ci vorrebbe un totale rinnovamento – e non è una questione di schieramenti – capace di riportare passione, motivazione e fiducia nei confronti della democrazia, di cui, al momento, abbiamo solo il nome, perché in realtà è come se governassero e decidessero sempre gli stessi. Il tempo delle illusioni, però, è finito. C’è sempre più la voglia di un’Italia finalmente diversa, dove tutti sono realmente uguali, e non solo perché è bello dirlo. Prendia ad esempio, la condizione delle donne nel nostro Paese…».
- Già , la disparità di trattamento delle donne. Un suo cavallo di battaglia…
«Sì, ma non perché io sia la classica femminista stereotipata che, parliamoci chiaro, come tutte le posizioni ideologiche, ha il difetto di tapparsi le orecchie e alzare la voce. Ma perché è un dato di fatto che in Italia essere donna non è uno scherzo. Anzi, è innanzitutto pericoloso: come se dovessimo perfino pagare con la vita lo scotto di non essere nati maschi. Bisogna, però, dire basta, fare rete, e difendere la nostra dignità di esseri umani, prima che di donne».
- Cosa intende per rete? Una sorta di grande unione femminile contro la società maschilista?
«No. Anzi, dovremmo smetterla di parlare di contrapposizioni, come se ci dovessimo contendere il pianeta con l’eliminazione dell’altro. Non c’è un mondo solo per uomini e uno solo per donne. È lo stesso per tutti. Bisogna, però, promuovere una vera “rivoluzioneâ€, con più fatti e meno slogan, per educare la società alla distribuzione equa dei posti decisionali. Non – sia chiaro – al cinquanta e cinque, perché non sarebbe altro che dimostrare di essere diseguali forzando l’uguaglianza, ma valorizzando finalmente il principio del merito…».
- Come si può, però, cambiare una società dove nelle pubblicità le donne sono sempre in cucina o lavano i piatti mentre gli uomini, finita la colazione, vanno a lavorare?
«Sì, ha centrato il punto. Dobbiamo in primo luogo noi donne liberarci della convinzione che non si possa essere al contempo madri e lavoratrici. Perché solo così possiamo ambire ad essere protagoniste nelle decisioni che riguardano l’intera società che, però, non ci ama affatto».
- E perché?
«Purtroppo è semplice rispondere. Non è vero che l’Italia sia un Paese di uguali. Lo dice solo la Costituzione. La realtà , però, è ben diversa ed è come ricevere uno schiaffo ogni giorno. Come possiamo definirci una Nazione civile se il 40% delle donne, fra i 25 e i 40 anni, non percepisce alcun reddito? E, quando lo percepiscono, a parità di mansioni, ha un valore più basso del 20 percento rispetto ai ‘colleghi’ uomini? Che dire, poi, del fatto che una donna è praticamente costretta a lasciare il lavoro se aspetta un bambino? Non è un controsenso che da un lato si permette alla nostra specie di persistere e dall’altro, però, veniamo tagliate fuori dalla società ? Non siamo dei contenitori!».
Torniamo, però, alle soluzioni…
«Bisogna investire sui talenti, soprattutto su quelli delle nuove generazioni. Ma senza promettere un posto fisso. È finito il tempo in cui la massima aspirazione era lavorare alle Poste o vincere un concorso pubblico per essere impiegati in qualche ente. Occorre “spremere†le idee che risiedono nei giovani e aiutarli a concretizzarle. Che senso ha “sognare†se, poi, una volta aperti gli occhi, la realtà non ti permette neanche di tentare di realizzarli?».
- Ma lei crede ancora ai sogni?
«Non smetterò mai di farlo. E sogno una politica che dica ai giovani: ‘Diamoci una smossa, insieme dobbiamo costruire una società diversa!’. E questo può avvenire soltanto mettendo da parte il passato, lasciandolo alle spalle e chiudendo dentro a un baule i rancori, i fallimenti e le sconfitte. Concentriamoci sul presente per costruire, quantomeno, il migliore dei mondi possibili».