Paola Tabet, “Le dita tagliate”: viaggio nell’errore della violenza sulle donne

le dita tagliateCi sono bambine che vengono fatte sposare a 10 anni e che, dopo la prima notte di nozze con il marito trentenne, muoiono dissanguate. Altre subiscono stupri di gruppo perché si oppongono ad esercitare il loro “dovere di mogli”. Ce ne sono alcune a cui vengono tagliate 6 dita in omaggio ai morti della comunità: gliene restano 4, per entrambe le mani, non abbastanza per imparare a scrivere ma sufficienti per i lavori domestici. Altre ancora, considerate “ribelli”, vengono ricondotte alla disciplina con un tizzone ardente infilato tra le gambe, botte continue e privazione di acqua e cibo.

È’ un viaggio nell’orrore della violenza sulle donne quello che propone Paola Tabet nel libro Le dita tagliate. L’antropologa italiana con un background accademico fatto di ricerche sul campo, racconta le pratiche di sottomissione messe in atto dagli uomini sulle donne in diverse parti del mondo come Mali, Costa D’Avorio, Kenya, Niger, Haiti, Nuova Guinea, India, Australia. Trattamenti choc che servono per spezzare la “resistenza” delle donne, per renderle soggiogate e obbedienti, per fare in modo che si dedichino a mettere al mondo i figli, ad accudirli, a badare alla casa, senza ribellarsi.

Un sistema di dominio pervasivo che risalta in maniera eclatante in certe culture non occidentali ma che è presente ovunque. I gradi, le forme, la diffusione variano, ma il meccanismo “che costringe le donne a una condizione subordinata” non cambia. Usando una categoria marxista, Tabet parla di “violenza di classe”. Secondo la studiosa, la “concentrazione quasi assoluta delle ricchezze in mano maschile” e l’endemica “dipendenza economica femminile” fanno sì che si possa considerare il modo diviso in due grandi classi: la classe degli uomini che sfrutta la classe delle donne.

Rispondi