Traffico di migranti, il fenomeno previsto dal legislatore italiano
Il fenomeno criminoso transazionale del traffico di migranti, come noto, affonda le radici del suo riconoscimento legislativo nel d. lgs. n. 286 del 25 luglio 1998 così come, da ultimo, modificato dai decreti legislativi nn. 24 e 40 del 4 marzo 2014. Per mezzo del T.U. Immigrazione, in una ottica improntata sul migrante quale soggetto di diritti, il nostro legislatore ha previsto che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito il soggetto che promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La punibilità è assoggettata a una delle seguenti condizioni, le quali, in caso di concorso, comportano un aumento della pena prevista: se il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; se la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; se la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; o, infine, se gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
Alla luce dei recenti fenomeni di sfruttamento, economico e non, dei migranti, come già anticipato, il legislatore è intervenuto in una ottica maggiormente garantista, atta a fronteggiare le conseguenze nefaste dei fenomeni migratori degli ultimi anni.
A tal riguardo, preme sin da subito sottolineare che le condotte punite ai sensi e per gli effetti degli artt. 600 ss. c.p. sono state soltanto parzialmente modificate nel corrente anno con una limitata incisione circa la perseguibilità del reato in questione. Ad oggi quest’ultima riguarda il soggetto che “esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà †ovvero “riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organiâ€. Importante è comprendere cosa si intenda per “riduzione†o “mantenimento nello stato di soggezioneâ€: a tal riguardo, in ossequio al principio di legalità (sub specie principi di tassatività e determinatezza della legge penale), il legislatore ha specificato che si ha riduzione o mantenimento nello stato di soggezione in presenza di una condotta del soggetto agente “attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità , di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità , o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla personaâ€.
Orbene, il combinato disposto delle previsioni legislative contenute nel Titolo II del d.lgs. 286/98 e della normativa di cui agli artt. 600 ss. c.p. permette di comprendere appieno quanto previsto nel comma 3ter dell’art. 12 T.U. Immigrazione, secondo cui la pena cumulativa (detentiva e pecuniaria) è aumentata se i fatti sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale/lavorativo ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite, al fine di favorirne lo sfruttamento o se i fatti sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto. Le norme sopra richiamate, in altre parole, hanno il pregio di evidenziare tutte le motivazioni a delinquere nella commissione del reato di tratta (specie nel caso in cui la vittima sia un migrante): lavori forzati, traffico di organi, sfruttamento della prostituzione, pornografia, matrimoni forzati, servitù ed ogni repellente fenomeno che calpesti i diritti umani, fino a negarli.
Tale specificazione risponde in primis al monito europeo ed internazionale di contrastare il reato di tratta, attuando, in ossequio al principio di cooperazione e collaborazione fra gli Stati, tutte le misure ed ogni strategia necessarie per prevenirlo. Di conseguenza, è in vista di una più ampia cooperazione giudiziaria che è stato previsto l’obbligo di intraprendere azioni positive tese a scoraggiare il reclutamento delle vittime, l’obbligo di condurre un’inchiesta adeguata, per mezzo del riconoscimento di importanti poteri di intervento della polizia, nello svolgimento delle indagini ed in fase di accertamento processuale di ogni presunto caso di tratta e, last but not least, l’obbligo di prevedere sanzioni penali efficaci per i trafficanti di esseri umani, correlato ad una altrettanto efficace tutela assistenziale delle vittime.
Inoltre, alla luce della normativa richiamata, evidente è la carica delle spinte attuate dai previsti obblighi europei e dalle tutele di cui alle Convenzioni Internazionali: si pensi, ex multis, al Patto sui diritti civili e politici, alla Convenzione del 1979 per l’eliminazione della discriminazione contro le donne, alle Convenzioni del 1989, del 1994 e del 2000 sui diritti del fanciullo, riguardanti anche la vendita, la prostituzione e la pornografia infantili ed in generale la tratta internazionale di minori a scopo di sfruttamento sessuale, traffico di organi e lavoro forzato; si pensi ancora alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo nel dicembre 2000.
Non si può non nominare la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che, se da un lato non vieta esplicitamente la tratta, dall’altro, tutela, ai sensi dell’art. 4, il diritto a non essere sottoposti a schiavitù, servitù o lavoro forzato. La interpretazione di tale norma inizialmente godeva del plauso della Commissione Europea, ma presentava non pochi limiti in quanto inapplicabile in alcune ipotesi (fra cui proprio quella del reato di tratta). Con la pronuncia Siliadin c. Francia del 26 luglio 2005 la Corte, richiamando la natura della CEDU quale strumento “viventeâ€, ha attualizzato il concetto di “servitùâ€, qualificandola come una menomazione grave della libertà personale e capacità di autodeterminazione delle vittima, materialmente analoga a quella subita dallo schiavo. Tale specificazione, tuttavia, per quanto sia di estrema importanza perché chiarisce il “contenuto†della tratta, d’altro canto non è applicabile con riferimento ai soggetti adulti, la cui capacità di autodeterminazione è raramente annientata, con conseguente impossibilità di configurare lo “sfruttamento estremo†di cui al Protocollo di Palermo.
Per superare l’impasse, giunge in soccorso la pronuncia relativa al caso Rantsev c. Cipro e Russia. Il caso riguardava il ricorso presentato da un padre di una giovane morta pochi giorni dopo essersi trasferita a Cipro per lavorare in un cabaret. L’uomo, cittadino russo, presentò il ricorso alla Corte, sostenendo che la figlia fosse stata indotta con l’inganno a trasferirsi, per poi essere introdotta in un circuito di prostituzione; inoltre, in detta occasione lamentò la violazione da parte della Russia e di Cipro del combinato disposto di cui agli artt. 1 e 4 della CEDU, non avendo i due Stati interessati esercitato la necessaria diligenza nel prevenire il reclutamento della figlia e nella conduzione della inchiesta volta a far luce sull’intera vicenda, in modo da assicurare alla giustizia i trafficanti.
La Corte ha avallato la impostazione del ricorrente e, in particolare, ha precisato che la tutela convenzionale, la cooperazione tra gli Stati e la previsione di obblighi europei “demonstrate the increasing recognition at international level of the prevalence of trafficking and the need for measures to combat it†oltre a corroborare una percezione della tratta quale moderna forma di traffico di schiavi. Di conseguenza, la Corte ha affermato che una interpretazione dell’art. 4 CEDU che miri a salvaguardare l’effetto utile della disposizione non può non tenere conto di questa evoluzione, riconoscendo alla tratta – così come definita anche dal Protocollo di Palermo – la stessa rilevanza che i negoziatori della CEDU attribuirono espressamente alla schiavitù, alla servitù ed al lavoro forzato.
Per quanto concerne la giurisprudenza “domestica†giova richiamare le seguenti sentenze della Suprema Corte. In particolare, molto interessante è la sentenza n. 40045 della sez. V del 24.09.2010 in tema di schiavitù e di tratta di migranti, in cui la Cassazione penale ha sottolineato che ai fini della configurabilità del delitto di tratta non è richiesto che il soggetto passivo si trovi già in schiavitù o condizione analoga, con la conseguenza che il delitto in questione si ravvisa anche se una persona libera sia condotta con inganno in Italia, al fine di porla nel nostro territorio in condizione analoga alla schiavitù.
Infatti, specifica la Corte, il reato di tratta può essere commesso anche con induzione mediante inganno in alternativa alla costrizione con violenza o minaccia (in senso analogo, anche le sentenze nn. 20740 e 21630 del 2010, la sent. n. 13532/2011, sent. Cass. pen. n. 251/2012).
Concludendo, la tutela convenzionale in tema di tratta e la normativa, sia nazionale che europea, prevedono una serie di obblighi in capo agli Stati al fine di assicurare sanzioni penali effettive per i trafficanti, supportate in particolare da informazioni capillari presso le famiglie dei soggetti più a rischio di reclutamento ed un adeguato addestramento degli organi di polizia. Tuttavia, come già evidenziato, il sopra richiamato tessuto convenzionale non contempla ancora un adeguato sistema di controllo che permetta il monitoraggio dell’adeguamento a tali obblighi da parte degli Stati, in vista di una effettiva e piena tutela dei diritti umani, valore supremo della dignità di ogni persona.
Avv. Sabrina Perrone